
RESEARCH
Ginnastica per una postura fragile
«Il Minotauro è innocente. È un bambino chiuso in uno scantinato. È spaventato. Lo hanno abbandonato. Io, il Minotauro».
Partendo da Fisica della malinconia, romanzo eclettico dello scrittore bulgaro Georgi Gospodinov, con degli innesti che richiamano Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante e il saggio Inclinazioni di Adriana Cavarero, Ginnastica per una postura fragile si pone l’obiettivo di indagare l’Io infantile presente in ciascuno di noi, rinchiuso nel buio di un labirinto e dimenticato dal mondo.
Quel bambino abbandonato (dagli adulti- dediti alle responsabilità sociali e politiche-, e da noi stessi, non appena le consuetudini entrano a far parte dello stile di vita di ciascuno) ha le fattezze di un mostro, quell’essere bestiale dalla testa taurina e il corpo umano, che la mitologia tradizionale ha privato del diritto di essere umano: non parla, muggisce e quel “Mooo” cavernoso non è altro che il suo modo per difendersi e cercare di trovare l’affetto della figura materna (“mooo” —> Mother). Non avere una voce significa non possedere una storia, significa essere un “nessuno” come quell’Altro che la società non riconosce, se non come un diverso.
Ginnastica per una postura fragile è alla ricerca di quel bambino (o quel mostro) abbandonato che c’è nel corpo. Ritrovare e riappropriarsi dell’infanzia, luogo dell’immortalità, pone al centro la tagà, una nostalgia per il possibile e per il mai avuto, uno stato malinconico che è forza, non debolezza. È uno stato dell’immedesimazione, un teatro spontaneo in cui è resa possibile un’ipertrofica espansione dell’Io: essere nell’Altro, in
funzione dell’Altro, insieme all’Altro, in un eccesso di esistenze e di storie, dà vita a un soggetto plurale- un po’ adulto, un po’ bambino, un po’ umano, un po’ toro- che si accosta al mondo con un cupo suono labiale, colonna sonora di una capacità motoria dolorosa sì, perché frammentata, ma capace di rispondere alla mutilazioni e alle mancanze del mondo.
Del resto la fase della vita in cui si è in grado di provare maggiore empatia è tra i 7 e i 12 anni, quando le storie si percepiscono con il corpo. E allora ossa, nervi, muscoli e pelle sono origine e ricettacolo di una sorta di panteismo emotivo che assume esso stesso la forma del labirinto immaginario- fatto di casualità e indeterminatezza- dove abita il bambino-minotauro. Quell’Io infantile allora altro non è che un fascio di quanti, per natura invisibili e in grado di essere percepiti solo sotto osservazione: se esistiamo, in una configurazione non più di quanti, bensì di particelle, è
perché qualcuno ci osserva e se da giovani si ha il magico potere di diventare, con il trascorrere del tempo (biologico) si è sempre meno propensi a divenire, a mutare e a trasformarsi.
Gestualità infantile e gestualità bestiale si incontrano e si sovrappongono per dar vita a una danza a ritroso nel tempo, labirintica e spiraliforme nello spazio, attraverso cui accedere a una condizione di apertura e accoglienza. Una ricerca su un corpo costretto al silenzio, ma in grado di risuonare a partire dalle sue insite mutilazioni, che- giocate come punto di fragilità potente e di potenza fragile- cercano di superare la frammentazione per giungere a un
diverso paradigma posturale: l’inclinazione. Quella stessa geometria archetipica di origine mariana, che fa riferimento allo stereotipo di soggettività tipicamente femminile, dove l’asse è in continua pendenza. E come la Madonna col bambino è tradizionalmente caratterizzata da una geometria fisica in disequilibrio, dove esposizione, vulnerabilità e dipendenza sono i termini relazionali tra i soggetti, allo stesso modo esiste una traccia del Minotauro in grembo alla madre Pasifae: ancor prima di essere mostro (o additato come tale) l’ibrido essere è un tenero lattante. Il ritrovamento di un’opera vascolare infatti mostra una scena di amore, intimità e dolcezza, in cui il rapporto inclinato tra madre e figlio nasconde speranza di futuro e il doloroso destino dell’abbandono.
Ginnastica per una postura fragile, attraverso una configurazione in “assolo sotto forma di duetto” con Michelarcangela Radatti e Lorenzo Vanini, privati delle caratterizzazioni di genere stereotipate e immersi in una metamorfosi fluida, propone una relazionalità al di là dei ruoli tradizionali per far emergere una nuova geometria del soggetto, non più statica, perpendicolare ed egocentrata, ma dinamica e in continua ricerca dell’altro, in cui l’essere in due è la base di costruzione dell’Uno. Una geometria multidimensionale, che prende le mosse da un Io ibrido, infante e mostro, che scivola e si abbandona alla gravità, nella scrittura di una storia antiantropocentrica in grado di costruire una ontologia incarnata e ospitale. La scoperta del sé avviene quindi attraverso il confronto con il corpo dell’Altro, non più entità a se stante, ma confine aperto e complementare attraverso cui assumere una nuova posizione per osservare il mondo.
«L’uomo è in situazione prima di essere situato», dice Lévinas. Ginnastica per una postura fragile indaga proprio quella situazione originaria fatta di relazioni e dipendenze, per tentare di rispondere- attraverso un corpo mutilato, inclinato e mostruoso, ma consapevolmente politico- all’abbandono, alla dominazione e all’esclusione.
Nel labirinto, interno ed esterno all’io, trappola e casa, c’è una via d’uscita. Ed è lì, in quel corpo di bestia bambina che guarda dolcemente la propria madre, perché «In sostanza e verità tutto questo non è nient'altro che un gioco».
Ginnastica per una postura fragile vuole porsi come una storia per tutti e di tutti. Del resto
«si raccontano favole ai bambini per farli addormentare, agli adulti per farli svegliare».
PERFORMANCE
Game over. Try it again
Creazione esito della residenza coreografica presso centro di formazione professionale Vivo Ballet.
Di Margherita Dotta
Con Giulia Bertoni, Rebecca Carluccio, Sara Cecchini, Sara Chinetti, Simona Dervishi, Margherita Dotta, Noemi Piva, Sara Spiro, Giorgia Stefanelli, Rebecca Terraneo.
“Tocca a me. La mossa. Giocare.Vecchio finale di partita persa, finito di perdere.”
Da queste parole riprese da Finale di partita di Samuel Beckett, prende avvio Game Over. try it again.
Suddiviso in tre quadri da un punto di vista drammaturgico e in due aree da un punto di vista di disegno spaziale, i corpi, involucri di fasci di nervi, si muovono su una scacchiera fatta di macerie in continua mutazione.
Due stanze separate da una parete invisibile accolgono situazioni diverse e incomunicanti: Un esercito di corpi l’uno fotocopia dell’altro sostiene una danza “riflessiva” e fatta di gesti a tratti scollegati, mentre accanto due individui rinchiusi in cubi colorati scoprono la libertà di movimento nello spazio.
Infine la rinascita: dal bianco e nero si passa a colori sgargianti e la danza diventa un unisono vivace su ritmo elettropop.
Ma ormai sono accadute cose a cui non possono sopravvivere nemmeno i sopravvissuti
Lady B., let it be!
Compagnia: Collettivo B_sides Us
in collaborazione con Teatrocittà e Matemù
Concept: Margherita Dotta
Choreography: Denise Tortora, Margherita Dotta
Dancers: Denise Tortora, Margherita Dotta
Music: various artists -Video maker: Riccardo Liberat
Autre temps
“Lady B., let it be!” è un viaggio al buio un viaggio che nasce dall’osservazione della natura effimera delle cose; Il titolo rimanda a una delle composizioni più conosciute dei The Beatles: “lascia che sia” è l’unica via praticabile all’interno di quel percorso ascendente dal buio alla luce, che passa attraverso l’accettazione di ciò che accade e che nessuno può mutare. In realtà “Lady B., let it be!” nasce dall’incontro fortuito con un’anziana clochard, ex attrice e cantante, amante del teatro. Diversi riferimenti al suo lungo racconto vengono messi in scena, grazie alla presenza di alcuni oggetti, che diventano (gli unici) simboli immutabili della condizione di decomposizione ed abbandono dell’ Io. Di conseguenza lo svolgimento procede per sineddoche: dalla vita del singolo si tramuta in un inno per l’umanità. “Lady B., let it be!”, partendo da un breve focus all’interno della mente della clochard, con un improvviso zoom out procede ad un’analisi panoramica sociale ed emotiva da un punto di vista esterno, sostenuta da una danza a tratti aperta e dinamica, a tratti più gestuale e introspettiva, come del resto si presenta agli occhi dell’uomo comune l’invisibile presenza del senzatetto, o dell’ “uomo senza chiave”.
Concept: Margherita Dotta
Choreography: Denise Tortora, Margherita Dotta
Dancers: Denise Tortora, Margherita Dotta
Music: various artists
Autre Temps è una ricerca coreografica in itinere sulla concezione del tempo, sia da un punto di vista etno-antropologico (andando a scavare all’interno della visione temporale di popoli molto distanti da noi), sia da un punto di vista umano, intimo e individuale. Autre Temps cerca tangenze e intersezioni tra queste due strade allo scopo di rintracciare un punto di arrivo globale sì, ma in continua estensione. Suddivisa in tre quadri a livello performativo e in tre sezioni a livello spaziale, Autre Temps si presenta come un continuo valicare i confini tra passato (sede e gabbia dei ricordi e delle esperienze), presente (emblema dell’effimero) e futuro (categoria mentale delle attese, delle aspettative e dei desideri), con una profonda analisi sulla percezione e sull’ influenza di ogni fase sull’altra. Le geometrie così nette all’inizio si spezzano e si sfumano alla fine, andando ad ampliarsi e ad abbracciare tutto lo spazio circostante con un valzer finale, simbolo di un tempo tenero privo di preoccupazioni. Del resto l’ Io affronta un problema con il tempo in quanti passato e futuro; il momento presente in sé per sé non crea disagi, perché nel presente non vi è tempo e i problemi esistenti nel presente rivelano la loro origine in qualche colpa passata o in qualche ansia futura e infattii visivamente non è rappresentabile se non con un punto, a differenza delle altre due fasi che si presentano come due segmenti, o meglio, come due semirette (volendosi avvicinare ad una concezione eternalistica del tempo). Di conseguenza il focus centrale si rivolge al presente in quanto presenza effettiva e atemporale. Nel passato (rielaborazione di ricordi, immagini della memoria stessa) e nel futuro (cioè nell’anticipazione) c’è solo la sensazione di uno stato mentale sotto osservazione, mentre come percezione permane esclusivamente la sensazione di esistere hic et nunc. L’explicit è solo uno: è possibile conoscere passato e futuro solo NEL presente e come PARTE del presente
Bagaglio a mano
Regia: Margherita Dotta
Coreografie: Margherita Dotta e Sara Cecchini
Attrice: Francesca Rocchio
Danzatrice: Sara Cecchini
Testi: Les feuilles mortes (Jacques Prévert) e L'eredità di Antonio (Maria Teresa Cipri)
Musiche: Autumn leaves (Stan Getz)
Commissionato dal Comune di Roma
Verso energhèia
Il monologo prende le mosse dal libro "L'eredità di Antonio" scritto da Maria Teresa Cipri. Antonio è un clochard di mezza età che vive la sua solitudine nei vicoli del Rione Monti, non per necessità, bensì per scelta. Tutto il racconto è pervaso da un inevitabile senso di rassegnazione nei confronti del destino. Nella rivisitazione del testo, Antonio (qui interpretato da una donna come entità universale) vive il suo presente in una continua battaglia con il passato, o meglio, con la sua memoria. È proprio la memoria la reale protagonista di questo spettacolo, in cui le parole si confondono con il movimento e il movimento si confonde con le parole. Memoria come luogo, come tempo e come nemica, ma che in ogni caso vive e viaggia insieme a noi, come un piccolo ma pesante bagaglio a mano.
di Gruppo R.A.V.E.-Ricerca Anatomica Verso Energhèia // Margherita Dotta e Leonardo Maietto
con Giulia Bertoni, Sara Chinetti, Simona Dervishi, Sara Spiro, Giorgia Stefanelli, Rebecca Terraneo
Verso energhèia(in opera)è un’azione performativa, ideata da Margherita Dotta e Leonardo Maietto(con il sostegno di Fondamenta Art Gallery-InsideArt;Teatro Greco-Vivo Ballet;Centro di ricerca Teatrocittà),che mette in dialogo attori,osservatori e opere. Si tratta di un dispositivo composto da due sistemi coreografici a ventaglio(AeB)che si attivano nel confronto tra opera e osservatore:nel sistema A gli osservatori(testa del ventaglio)percepiscono l’opera attraverso la rifrazione delle immagini messa in atto dai sei attori(pavese del ventaglio).Specularmente,nel sistema B è l’opera ad attivare il medesimo fenomeno nei confronti dell’osservatore. Entrambi i sistemi danno vita a una dimensione in cui le conformazioni prospettiche mutano costantemente,tendendo verso una visione altra della prospettiva,introducendo nel dispositivo la nozione di tempo-immagine e lasciando inalterato il naturale flusso della visita museale. Il dispositivo si attiva nel momento in cui i sei performer diventano sintesi tra il moto cinetico dell’osservatore e la stasi dell’opera,sotto forma di brevi interventi,in cui la danza non è manifesto,bensì iridescenza corporea che necessita delle condizioni tipiche dei luoghi di cultura per apparire. Un approccio estemporaneo al flusso museale è il nostro campo d’azione, operando sulle opere in cui il corpo è prospettiva. Sta alle capacità del performer-di entrare e uscire dal dispositivo-il tentativo di non far percepire un’opera compiuta, bensì un’energhèia.
Tevàh
di e con Gruppo R.A.V.E.-Ricerca Anatomica Verso Energhèia // Margherita Dotta e Leonardo Maietto
Pioggia, flussi, ruscelli | Liquidi che scorrono nello spazio, creando interstizi e sospensioni | Procreazione | Nave, Porto | Ghiacciai | Liquidi e ancora liquidi | Il flusso si sospende per aprire un varco tra Noè e Noi, tra Noi e Noè | È Una catastrofe ambientale, arginata dall’istinto di sopravvivenza | Apnea| Apnea| Apnea| Respiro.
Matrice A
Una lingua di mare sempre in moto bagna Tevàh, luogo che si fa sponda visiva e acustica della riflessione che il compositore Denis Smalley mette in atto in Base Metal 2000, attraverso sonorità e colori che evocano una distesa liquida senza tempo e senza spazio, senza origine e senza fine. Tevàh crea un volet tra spazi che si rendono disponibili da una parte ad assumere nuovi significati, dall’altra ad una reinterpretazione di parole che risuonano nelle orecchie dei popoli da tremila anni. Il mito e la storia si scontrano e si incontrano con l’attualità: micro ritmi naturali attraverso la tecnologia possono essere prelevati, modificati e ripetuti, al fine di esplorare la materia sonora che si trasforma in movimenti scenici dai significati sospesi in un limbo. Questo luogo aleatorio non tenta di auto- arginare la propria incertezza, bensì fa della sospensione lo spazio dove i significati si alterano, espandendosi fino a perdere le proprie coordinate. Lì - dove nulla ha più la propria forma né il proprio contenuto semantico- viaggia, appeso e sospeso nella sua concretezza, un ramo spezzato, che si trova nella forma perifrastica dello “stare per”. Nello stesso frangente vaga una barca a cui vengono chiusi i porti e che si trova costretta di certo ad un futuro, ma che di certo non ha nulla. Tevàh è uno stato di attesa. L’attesa che precede ogni procreazione
di e con Gruppo R.A.V.E.-Ricerca Anatomica Verso Energhèia // Margherita Dotta e Leonardo Maietto
Matrice A è un gioco surrealista tra la danza e l’installazione video, una performance leggera e fluttuante che può essere attraversata facilmente da chi osserva.
Il presente é perpetuamente messo a confronto con il sua passato e il suo futuro, attraverso la ri-produzione istantanea di video realizzati live di ciò che è appena avvenuto e che andrà a costituire ciò che sarà.
La mise en abyme di André Gide e le danze asciutte di Yvonne Rainer sono le fondamenta di questo lavoro, in cui l’incontro tra movimento corporeo composto istantaneamente e movimento della macchina da presa é il fil rouge della performance.
Solo limoni
di e con Gruppo R.A.V.E.-Ricerca Anatomica Verso Energhèia // Margherita Dotta e Leonardo Maietto
Solo Limoni è un dialogo aperto tra l’omonimo documentario poetico di Giacomo Verde e gli elementi multimediali e performativi del Gruppo R.A.V.E. È una ricerca che vuole aprire un dialogo tra tre interlocutori, dove anche il pubblico, parte integrante della performance, potrà assaporare l’aspro gusto di “limone” e digerire quello che prima non era in grado di vedere.
Immagini semplici, ma allo stesso tempo evocative tentano di ricreare un immaginario surreale di quelle che sono state le reazioni e la metabolizzazione dei fatti accaduti il 20 maggio del 2001. Un lavoro per non dimenticare e una riflessione postuma attraverso strumenti acquisiti quasi 20 anni dopo.
Solo Limoni traccia una tragica linea di congiunzione tra ieri e oggi attraverso una visione in climax ascendente: vuole fornire gli strumenti ad una rilettura contemporanea del significato assunto oggi degli avvenimenti accaduti a Genova.
Se Giacomo Verde nell’incipit del video dice “Ci sembrava di assistere a qualcosa di comunque già visto”, piantando un piccolo seme nella sensibilità comune, ha aperto una voragine su calanchi desolati in cui l’eco delle sue parole continua a risuonare più forte di prima.
EDUCATION AND SHARING
Tentativo di esaurimento di un luogo domestico
Esito di una pratica corporea a distanza.
Un esperimento con mezzi casalinghi.
Un ambiente familiare riscoperto.
Una pienezza che si risolve in vuoto
e un vuoto che si risolve in pienezza.
Tentiamo, esauriamo e ci esauriamo,
lì dove ogni cosa trova -come sempre e per la prima volta- il proprio posto nel mondo.
Da un'idea di Margherita Dotta,
liberamente ispirata a "Tentativo di esaurimento di un luogo parigino" di Georges Perec, testo apparso nel 1975. Riedito da Christian Bourgois per il piacere degli amici dell’autore e dell’editore.
Saudade
Esito di due giorni di workshop presso Teatrocittà- Centro di ricerca teatrale e musicale di Torrespaccata
Guardare un’alba e non riuscire a goderne appieno nella consapevolezza che la si perderà. Saudade è una nostalgia in potenza. Una parola-sentimento o un sentimento- parola, a cui consegue- nella sua intraducibilità dal portoghese- una reazione cinetica spaziale e temporale , capace di creare altri luoghi- esperienze del soggetto, perché ciò che realmente si possiede di un luogo e di un momento sono i ricordi e le conoscenze sensoriali.